PERCHE' NON CHIAMARMI EBREO?

don Dino Campiotti

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Non erano frequenti le serate che  papà ci dedicava. Ma, allora, quando era in mezzo a noi, non mancavano le domande sul suo passato: il lavoro da ragazzo con Bialetti, la sua permanenza in Germania, il servizio militare in Sardegna...

Papà era un fabulatore e non si esimeva dai racconti intervallati da sorrisi intriganti... ci catturava con pittoresche narrazioni ma anche con silenzi che forse nascondevano qualche tristezza o qualche ricordo doloroso. Nella primavera del '40 fu obbligato a lasciare il suo lavoro in Italia e a recarsi in Germania nel campo di lavoro di Dachau, un poco più a nord di Monaco di Baviera, dove diventò, suo malgrado, un gastarbeiter (un lavoratore straniero) alle dipendenze delle industrie BMW, che allora producevano motori di aeroplani per la guerra da poco Iniziata.

Dai racconti di papà emergono frammenti giustificabili soltanto dalla fantasia eccitata di un bimbo che continuava a vedere nel padre un personaggio mitico e inafferrabile dalla realtà.

Ricordo dettagli di racconti legati ai suoi vicini dl campo: uomini abbigliati in modo strano, forse buffo, di cui papà ricordava solo una parola, quando al sabato sera di ritorno dalle campagne attorno a Dachau, dopo aver raccolto qualche sacchetto di patate dai contadini pagandole milioni di marchi, ne lanciava alcune oltre il filo spinato del campo che delimitava la zona dei prigionieri russi e ne riceveva in risposta: ‘spassiba, spassiba, tovarisci‘.

Non ho mai capito il senso di queste espressioni, comunque intriganti, se non quando un altro straordinario amico di vita e di avventure dello spirito, il Carlìn Negro, professore ed educatore (unico!) di generazioni di ragazzi, mi chiese un giorno, ormai al termine del suo cammino, di aiutarlo a pubblicare in un libro i suoi ricordi di prigionia in Germania, libro a cui aveva dato come titolo 'Spassiba', grazie!

Ancora più: buffo é il racconto di papa che giocava con dei bambini attraverso la rete divisoria del campo.

Dopo la partenza degli uomini con il cappello di pelo, arrivarono, al campo vicino al suo, famiglie che portavano una strana stella gialla sul petto.

La portavano gli adulti, ma anche i bambini che spesso si aggrappavano alle reti del campo chiedendo qualcosa da mangiare. Papa raccontava che, al ritorno dalle sue 'scampagnate' di fine settimana, sceglieva accuratamente delle piccole patate rotonde e le faceva scorrere sotto la rete, come fossero biglie, per la grande gioia dei bambini con la stella gialla, che rispondevano con un ‘mercì. ‘

Soltanto molti anni dopo compresi il senso di questi piccoli dettagli cui ovviamente da bimbi non si dava troppo peso, pensando che fossero invenzioni del fabulatore. Rimase tuttavia in un angolo della mia memoria il ricordo di papà che ‘giocava a biglie’ con le patatine regalate ai bambini ebrei francesi del campo di concentramento...

Per lunghi anni ho insegnato storia nella scuola statale di Galliate e ogni anno non perdevo l'occasione per dedicare attenzione alla ‘Giornata della Memoria’, nel ricordo dell'apertura del famigerato campo di sterminio di Auschwitz... (27 gennaio 1945).

Nei diversi anni abbiamo accolto testimoni straordinari di quegli eventi a cui i miei ragazzi hanno sempre prestato una attenzione insolita e commovente.

Avviene che il Centro di Documentazione Ebraico di Milano in quell'anno, su mia sollecitazione, mi segnali la signora Rebecca Behar come testimone dell'evento: ‘Sarà sicuramente una testimonianza di qualità”, mi viene garantito da una solerte segretaria. Vado ad accoglierla in autostrada e inizia in questo modo, molto occasionale, una amicizia intensa con Bechy (il nome familiare) e con Paolo Ottolenghi, suo marito. Ovviamente l'incontro con i ragazzi di terza media fu esaltante soprattutto per la passione evocativa del raccontare di questa donna che, appena adolescente, aveva visto sul nostro bel Lago Maggiore morire molti suoi amici con l’unica colpa di essere ebrei e con l’imbarazzante debolezza di non potersi difendere di fronte alla violenza nazista.

Ho avuto l'opportunità, in seguito, di incontrare spesso Bechy; direi che, venendo a Novara, non mancava mai di darmi un colpo di telefono.

Amicizia a prima vista? Forse!

Certamente l'aveva non poco stupita o incuriosita il fatto che un prete avesse aperto una casa per accogliere malati di Aids chiamandola ‘Shalom’. E questo mi aveva in qualche misura reso simpatico a questa donna senza fronzoli e abituata ad arrivare diritta all'obiettivo. Per un ebreo, dì ogni tempo e di ogni esperienza culturale, "shalom” non è solo un saluto, assimilabile al nostro “ciao”, ma è anche un augurio, una richiesta di benedizione al Dio della promessa e al Dio della riconciliazione!

Accanto a questi frammenti di memoria (ve ne sono altri, ma sono gelosamente custoditi nella memoria della mia famiglia di origine... Che ne sarà stato della famiglia Geremicca, scampata miracolosamente ai rastrellamenti degli uomini della milizia? Come dimenticare le decine di ebrei che il mitico zio Giovanni accompagnava attraverso la valle Antrona e la val Bognanco nella vicina Svizzera?) si accosta un pensiero o meglio una domanda che da sempre mi fa compagnia nei momenti del silenzio: “Chissà se la mia chiesa, fondata dall’ebreo Gesù di Nazareth, ha fatto tutto quello che era necessario per evitare uno dei più grandi fallimenti dell'umanità, per non cadere nell'evento più angosciante della nostra storia, la shoah, lo sterminio scientifico di oltre sei milioni di donne, uomini e bambini con la sola colpa di essere ebrei?

Faccio fatica a trovare risposte, anche sui libri e nei documenti della storia. Mi rimane tuttavia, il dubbio che forse si è peccato di 'timidezza’ o forse di ‘ingenua complicità‘!

 

In ogni caso mi rimane anche la freschezza di un sorriso al pensiero che il mio “vecchio” abbia giocato con le patatine rotonde attraverso i reticolati di un campo di concentramento con dei bimbi che portavano sul petto una stella gialla!  

 

 

 

    *Pubblicato sul NOVARAè, aprile 2013

Ben Gurion - Herzl
Ben Gurion - Herzl

Se lo volete, non è una favola!   (T. Herzl 1860-1904)

 

 

 

 

 

 

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