Palatucci visto da "Centro Primo Levi di New York"

 

Sulla pagina di Algemeiner.com del 20 giugno 2013 leggemmo con sconcerto la notizia che riportava le conclusioni dei vostri recenti studi su Palatucci. Il solo titolo dell’articolo bastò a colpire come una sferzata tutti noi, convinti della generosità e purezza d’intenti di quest’uomo. L’impressione venne confermata dalla lettura dello scritto. L’immagine di Palatucci, definito dal giornale “lo Schindler italiano”, ne usciva del tutto stravolta: in base alle nuove risultanze, infatti, egli non solo perdeva il suo status di Giusto, di “salvatore” (il numero dei “salvati”, per quanto riguarda il valore della persona, dal nostro punto di vista non fa la differenza…), ma veniva addirittura accusato di aver “aiutato ad assassinare ebrei durante la Shoah”.

 

Il riferimento a un dato all’apparenza banale come il titolo di un articolo ci porta al cuore del problema che vogliamo portare alla Sua attenzione. Possiamo tutti immaginare come nascano certi titoli ad effetto, studiati per attrarre l’attenzione del lettore, e anche quale sia il diabolico potere della macchina mediatica e quanto facilmente certi contenuti delicati possano “sfuggire di mano” e fare in un baleno il giro del web (che poi è come dire “il giro del globo”); soprattutto quando tali contenuti vengono ripetuti all’infinito, in un mostruoso effetto a valanga, da siti che spesso si limitano a citare l’uno le parole dell’altro, pari pari, senza alcun tentativo di ulteriore approfondimento.

Tuttavia, potrà facilmente comprendere come la lettura di questo articolo e di quello pubblicato dal New York Times il giorno precedente (che aveva dato grande visibilità al caso e, ripreso da molti organi di stampa, aveva scatenato la tempesta) abbia turbato tutti noi. Da eroe, Palatucci si trasformava in un “volenteroso esecutore della legislazione razziale” e, a seguito della sua adesione alla Repubblica Sociale, in uno “zelante collaboratore dei nazisti”, “coinvolto nella deportazione degli ebrei ad Auschwitz”.

Come potrà notare dal confronto con l’articolo di Algemeiner.com citato all’inizio (successivo in ordine di tempo), in un sol giorno – dal 19 al 20 giugno – da persona “coinvolta nella deportazione degli ebrei” Palatucci diventa uno che avrebbe “aiutato ad assassinarli”. Ecco quanto la notizia si è “gonfiata” nel passaggio da un giornale all’altro.

 

Da giugno a oggi, tali rivelazioni hanno prodotto un intenso dibattito in seno alla nostra associazione, che ancora non si è chiuso e del quale intendiamo trasmetterLe il sentimento da tutti condiviso e che riteniamo fondamentale.

Innanzitutto, teniamo a precisare che è stata nostra cura non confondere due piani che pensiamo debbano restare rigorosamente separati: da un lato quello legato al merito della ricerca e ai metodi d’indagine, che come “non addetti ai lavori” non abbiamo in questa sede alcuna intenzione di sindacare, dall’altro quello inerente le modalità e la tempistica della comunicazione dei risultati, peraltro non ancora conclusivi, di questo studio.

 

In relazione a quest’ultimo aspetto, è grande la nostra amarezza per il fatto che, a ricerca ancora in corso e senza che i risultati siano assolutamente incontrovertibili, si sia proceduto da parte del Centro a lanciare un’operazione mediatica che, nel giro di pochissimi giorni (se non ore), è riuscita a danneggiare gravemente la reputazione di un uomo (e della sua famiglia), trasformandolo d’emblée da vittima in carnefice. Perché si è scelto di comunicare la notizia proprio in questo modo? È questo che ci chiediamo.

Avremmo apprezzato prudenza nel comunicare ciò che gli studi stanno portando alla luce e il ricorso a una diversa modalità di pubblicazione, più consona a una ricerca storica così seria su un tema tanto importante e delicato. Siamo infatti drammaticamente e tristemente consapevoli di quanto il circo mediatico sia oggi in grado di fagocitare qualunque notizia, su cui alla fine rischiano di “banchettare” personaggi non sempre animati da intenti limpidi. Si sarebbe dovuto prevedere quale inarrestabile reazione a catena avrebbe potuto scatenarsi da queste rivelazioni: purtroppo, si sa, non c’è quasi mai rimedio ai danni che derivano dal diffondere notizie che fanno scalpore, benché incomplete (e senza che sia ovviamente possibile produrre, nel contesto di un semplice articolo di giornale, la documentazione a sostegno di una tesi).

 

Pur non volendo entrare nel merito del metodo d’indagine adottato, non possiamo tacere un fatto che ha colpito tutti noi: la sensazione che l’attenzione sia tutta concentrata sulle fonti scritte e che si tenda in qualche modo a sottovalutare quelle orali. Sembra quasi che le testimonianze di quanti hanno conosciuto personalmente Palatucci e che hanno confermato il suo tentativo di aiutare, nei limiti delle proprie possibilità, gli ebrei in difficoltà (si pensi a Paolo Santarcangeli o a Settimio Sorani, per citarne solo un paio) non abbiano alcuna rilevanza. Perché questi testimoni al di sopra di ogni sospetto non dovrebbero essere degni di fede? Perché mai queste persone avrebbero dovuto mentire, dal momento che non ne avrebbero tratto alcun vantaggio? Si è fatto tutto il possibile per rintracciare altri testimoni eventualmente ancora in vita? Si può credere che le carte siano sempre e in ogni caso più affidabili di un essere umano che quella realtà drammatica ha vissuto? Sarà un dubbio banale per uno storico, ma non lo è per l’uomo della strada.

Infine non vorremmo che la questione Palatucci si prestasse a diventare il terreno di scontro ideale fra gli interessi di varie istituzioni (le frequenti allusioni della stampa all’operato della Chiesa cattolica durante la Seconda Guerra Mondiale in relazione a questo caso ne sono solo un esempio). Ci augureremmo insomma di non vedere la vicenda di questo Giusto strumentalizzata in alcun modo o a qualunque scopo, poiché ci sentiamo estranei a qualsiasi finalità che non sia il puro e semplice tentativo di ricostruire il più fedelmente possibile la verità sulla vita di un uomo che ancora consideriamo un Giusto.

 

Ben Gurion - Herzl
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Se lo volete, non è una favola!   (T. Herzl 1860-1904)

 

 

 

 

 

 

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